Il caso della professoressa Arker di Andrea Q.


Era il 29 Gennaio 2019 e l'agente Jake Town era appena arrivato nel suo ufficio nella stazione di polizia di New York in Wall Street, dopo essersi fermato come tutte le mattine a fare colazione nella sua caffetteria preferita. Dopo circa un'ora ricevette una telefonata dalla polizia locale a seguito del ritrovamento del cadavere di una donna in un appartamento di New Street.
Subito si precipitò e, una volta arrivato, trovò la polizia locale che gli raccontò come era avvenuta la triste scoperta: la vittima era una professoressa della Facoltà di Giurisprudenza, Sara Arker, che era solita vedersi la mattina prima delle lezioni con la collega e amica Jane per fare colazione.
Questa ultima non vedendola arrivare aveva provato a chiamarla sia sul cellulare sia sul telefono di casa senza ottenere risposta e, visto che abitava da sola, iniziò a preoccuparsi pensando che stesse male.
Allora, siccome la sua prima lezione sarebbe cominciava un’ora più tardi, decise di recarsi a casa sua che si trovava vicino all’ Università.
Suonò il citofono senza risposta. Approfittando di una persona che stava uscendo dal portone si infilò all'interno del palazzo, ma anche quando suonò alla porta l’amica non venne ad aprire. Siccome la conosceva bene e sapeva che non si sarebbe mai allontanata senza avvisare, decise di chiamare il numero dell' emergenza.
Arrivati i soccorsi forzarono la porta, che non era chiusa a chiave, e trovarono un inquietante scenario: la donna era per terra in una pozza di sangue e aveva una profonda ferita alla testa, era morta.
A questo punto l’investigatore si mise subito all’opera, iniziò a descrivere la stanza nel suo taccuino: l' ingresso-salotto aveva una porta finestra con delle tende gialle oro, un divano blu grande era appoggiato alla parete che confinava con il bagno, due poltrone azzurre ai lati con tre cuscini di colore verde ciascuna, una libreria di fronte con una televisione al centro e, in mezzo alla stanza, un tavolo di legno ai cui piedi si trovava il cadavere della povera vittima.
Il detective cominciò a cercare indizi in tutto l' appartamento a partire proprio dalla sala. Nel frattempo, visto che la vittima era molto vicina al tavolo, vi erano tracce di sangue sul suo spigolo e considerato le caratteristiche della ferita alla testa, Jake cominciò a pensare che la vittima potesse aver preso un colpo proprio in quel punto.
Intanto, iniziò a raccogliere dei reperti scientifici da esaminare, ponendosi delle domande: come aveva battuto la testa nello spigolo? Era caduta? Come aveva fatto ad inciampare all'indietro? Non erano presenti ostacoli ed il terreno non era scivoloso. Allora poteva essere stata spinta, ma da chi? Sicuramente da qualcuno che aveva fatto entrare volontariamente. Chi poteva avercela con lei? Forse quell' amica che aveva chiamato i soccorsi poteva sapere qualcosa di più...o forse non era poi così amica! Ma era stato sufficiente il colpo sul tavolo per farla morire? Solo l' autopsia e le indagini scientifiche avrebbero potuto svelarlo.
Tuttavia decise di effettuare ulteriori controlli per trovare eventuali tracce dell' assassino. Al termine delle sue valutazioni decise di parlare con la polizia locale che aveva già interrogato l'amica per capire se avevano ottenuto delle informazioni interessanti.
Il giorno successivo arrivano i risultati del test del DNA che rilevarono la presenza di DNA maschile sul corpo della vittima e sulla maniglia della porta. Erano state, inoltre, anche trovate impronte digitali proprio su di essa.
A questo punto il detective decise di parlare con la signora Jane, per capire se avesse un idea di chi poteva essere l'assassino: c'era qualcuno che la odiava? Come erano i rapporti con gli altri? Quali ambienti frequentava?
Dal colloquio capì che la vittima era una persona abitudinaria molto occupata nel lavoro e che trascorreva il tempo libero a casa o con poche amiche.
Così arrivò alla conclusione che l'assassino doveva essere una persona che lei conosceva, al quale aveva aperto la porta di casa spontaneamente.
Poi si recò all' Università e si fece dare dalla Preside l'elenco dei dipendenti uomini con cui Sarah aveva potuto a che fare.
Ella glielo fornisce, ma lo informò che uno di loro si era trasferito da due mesi in un altra città quindi non lo avrebbe trovato, mentre un altro, un bidello, aveva alcuni disturbi mentali per cui, pur essendo una brava persona, avrebbe potuto avere difficoltà a rispondere alle sue domande.
Effettivamente durante gli interrogatori ricordò che mentre quasi tutti sembravano essere molto tranquilli, lui balbettava ed era visibilmente scosso dalle domande ricevute.
Non riuscendo a trovare la risposta alle sue domande decise di recarsi di nuovo sul luogo del delitto.
I vicini non erano in casa quella sera, ma la portinaia sembrava nascondere qualcosa, per cui si ripropose di interrogarla nuovamente nonostante lo avessero già fatto i poliziotti. Lei però continuava a ripetere sempre le stesse cose finché, quando lui provò a fregarla dicendole che sapeva che stava fingendo, ammise di aver visto di schiena un ragazzo alto e con un cappello nero in testa che stava uscendo di corsa dal portone e che per paura non lo aveva detto prima.
Una volta dentro l' appartamento il detective continuò le sue ricerche finché poco prima di uscire dal salotto vide una cosa molto piccola a terra: era una pastiglia così con i suoi strumenti la prelevò per portarla ad analizzare.
In attesa del risultato chiese informazioni al medico di Sarah circa i farmaci da lei utilizzati, ed egli rispose che l' unico medicinale che assumeva era per il controllo della pressione del sangue.
Dopo poche ore il detective ricevette una telefonata dalla Scientifica e venne a sapere che quello ritrovato era un farmaco utilizzato nelle persone con problemi mentali.
A quel punto il detective collegò il farmaco con il ragazzo visto dalla portinaia e il bidello dell' Università.
Così convocò l' amica Jane per chiederle che rapporti c'erano tra la vittima e il giovane. Quest' ultima le spiego che egli era il suo ex-alunno e che era sempre molto gentile con lei. Le raccontò che l' insegnante si era trovata in imbarazzo una volta che era stata sola con lui dentro l' ascensore, in quanto le si era avvicinato un po' troppo.
Sempre più convinto che lui fosse il reale assassino, lo convocò in commissariato, fece prendere le impronte digitali e un campione di saliva per la prova del DNA, ma ancor prima di avviare le analisi il ragazzo agitato e scoppiando a piangere confessò che era stato lui ad uccidere fa professoressa.
Spiegò che si era innamorato di lei già quando era studente e che era l'unica che lo capiva e lo trattava bene. Quella sera era andato a trovarla per dichiararle il suo amore ma quando si era sentito respinto aveva perso il controllo e, senza l' intenzione di farle del male, l'aveva spinta facendola scontrare sullo spigolo del tavolo e poi a terra.
Spaventato era scappato via ma, nell'uscire, si era aperta la sua confezione multi dose di pastiglie che erano cadute a terra. Aveva cercato di tirarle su tutte ma non si accorto di averne perse alcune. Il ragazzo venne arrestato. Anche questo caso era stato risolto.