Il battesimo della bicicletta di Emma I.

Avevo cinque anni, era l’estate del 2011, nella nostra campagna a Isola di Rovegno, in Valtrebbia, affrontai una delle imprese più importanti della mia vita.
All’epoca avevo un migliore amico, nonché vicino di casa, di nome Paolino. Egli aveva solo un anno in più di me eppure gli piaceva vantarsene spesso, un enorme difetto che non sempre riuscivo a sopportare. Un giorno entrambi stavamo pedalando sul “ballo”, uno spiazzo sopra il parco giochi dedicato ad attività ludiche come ping pong ,calcetto, o anche partite a carte e feste del paese. L’unica differenza tra la mia bellissima bicicletta di Hello Kitty e la sua era che la mia aveva ancora le rotelle mentre la sua no e ovviamente questo fatto dava a Paolino ancor più motivazioni per vantarsi costantemente. Ma, a differenza delle altre volte, io quel giorno non avevo alcuna intenzione di lasciar correre, infatti all’ennesima volta che mi passava di fianco sfoggiando la sua abilità, come se stesse entrando nel Guinness dei Primati, io presi una decisione: non avrei più lasciato che Paolino, del quale stavo riconsiderando anche la qualità di migliore amico, mi prendesse in giro per questa pecca.
Immediatamente, a testa alta e petto in fuori, mi diressi da mia mamma che in tutto questo era seduta comodamente su di una panchina a farsi i fatti suoi, e le spiegai forte e chiaro quale fosse il mio obbiettivo. Pur sorpresa dalla mia decisione, lei mi appoggiò e insieme ci dirigemmo verso il nostro garage. Lì mia madre svitò qualche bullone e poi liberò il mio mezzo da quel peso. Una volta lucidata e armata di nuovi adesivi, la mia bici era pronta per accompagnarmi verso la vittoria. Afferrai il manubrio e senza pensarci due volte mi diressi verso il campo di battaglia. Salii i gradini e mi preparai alla partenza munita di caschetto e, cosa più importante, di forza di volontà in abbondanza e iniziai a pedalare come se non ci fosse un domani.
Appena iniziai ad esercitarmi mi resi conto che non era così facile come sembrava ma non mi feci abbattere, continuai a provare e a riprovare. Pensavo che, dopo qualche giro, subito avrei iniziato a pedalare senza accorgermene nella giusta direzione e senza cadere, mentre non fu affatto come mi immaginavo. Penso in tutto di essere caduta più di 20 volte e altrettante di aver sbattuto contro il muro Per di più non indossavo nemmeno delle protezioni ma l’unica cosa che mi riparava e mi esortava a riprovare era il pensiero che, superato quel giorno nefasto, sarei finalmente riuscita ad andare in bicicletta, e non su quella a rotelle ma su di una vera e propria bici da grandi, che finalmente Paolino non avrebbe più avuto la faccia tosta di prendermi in giro e che per la prima volta avrei potuto dire: ”So andare in bici”.
E finalmente, dopo soltanto sei ore, 24 minuti, 12 secondi, tre bottigliette d’acqua e un paio di pianti, per la prima volta nella mia vita, salii in sella e iniziai a pedalare, non come in tutte le prove precedenti, questa era diversa, perché quando stanca e sul punto di arrendermi mi diedi una spinta con il piede, finalmente, invece di perdere l’equilibrio dopo pochi secondi, rimasi lì a bordo del mio mezzo scintillante, a guardare il mondo da un’altra prospettiva e man mano che percorrevo centimetro dopo centimetro, un grande orgoglio cresceva dentro di me.
Il giorno seguente, come al solito, io e Paolino ci eravamo dati appuntamento sotto casa, di fianco al pozzo e decidemmo, sotto mio consiglio, di andare sul ballo con le bici e di fare una gara di velocità. Paolino ovviamente era certo che il vincitore di quella gara sarebbe stato lui, così acconsentì. Arrivati sul ballo decidemmo di aspettare qualche minuto per prepararci, lui, come al solito, tirò fuori la sua attrezzatura, casco, para stinchi, ginocchiere, guanti e salì in sella tutto fiero lanciandomi un occhiataccia di sfida sicuro di chi avrebbe perso quel giorno. A quel punto, munita solo di un semplice caschetto e scarpe tutt’altro che adatte, montai in groppa al mio fidato destriero e ci preparammo alla partenza. Il percorso concordato era circolare e per alzare la posta in gioco ci avevamo posizionato degli ostacoli improvvisati come un bidone della spazzatura, una sedia di plastica e un birillo, degli oggetti abbandonati sul ballo. Successivamente, dopo tre giri intorno al tavolo avremmo dovuto attraversare una rampa di cemento che portava al parco giochi e qui si sarebbe dovuto attraversarlo senza cadere nelle trappole delle buche presenti nel terreno. Infine avremmo dovuto affrontare l’ultimo grande ostacolo e cioè il famigerato “giro tondo”: superato il prato tornare al punto di partenza e iniziare a girare in tondo al tavolo avvicinandoci sempre di più fino a quando non ne rimaneva uno solo.
Pronti…ai posti….via!
Eravamo concentrati sul percorso, dove girare e quando, tenere forte il manubrio e per nulla al mondo girarci a controllare la posizione dell’avversario. E finalmente dopo uno sforzo enorme riuscii per pochi secondi a tagliare il traguardo prima di Paolino il quale, voltandosi per vedere dove fossi, era inciampato e finito in una buca.
Da quel giorno in poi Paolino non ebbe mai più il coraggio di prendermi in giro o solamente ridere di una mia caduta.